mercoledì 27 giugno 2012

Fornero no limits: "Il lavoro non è un diritto"

Chissà se è stata colpa del giornalista del Wall Street Journal, quotidiano avvezzo al capitalismo estremo, che era felice di fare un bel titolo sul cambiamento culturale dell'Italietta stracciona che abitualmente dipinge. Ma oggi la ministra del Lavoro, Elsa Fornero, l'ha proprio sparata grossa. "Noi stiamo cercando di proteggere gli individui non i loro posti di lavoro. L'attitudine della gente deve cambiare. Il lavoro non e' un diritto, bisogna guadagnarselo, anche attraverso il sacrificio'', ha detto la nostra professoressa d'assalto che sta incassando l'approvazione di quella "boiata" di riforma a colpi di fiducia solo grazie al fatto che il Pdl è in stato comatoso e il Pd ha paura di governare.
Si vede che di fronte ai tifosi del mercato si è lasciata finalmente andare.
Il lavoro è un diritto? No, in questo paese - in barba alla Costituzione che tutti chiamano in causa ma che nessuno si degna di far rispettare -  non lo è più da tempo, da molto prima dell'arrivo di questi baroni, che insegnano nella stessa Università del marito e che ci fanno entrare pure i figli e che fra un incarico di consulenza e l'altro hanno passato una vita a rimestare nel torbido e  a 64 anni, invece di godersi la pensione, rubano il posto a qualche mente magari un po' più brillante.
La riforma Fornero non esiste, non serve a nulla, se non - come in maniera molto british ha ricordato l'autore del pezzo per il WSJ - ai datori di lavoro che "saranno in grado di licenziare i singoli lavoratori per motivi economici. Forse il più grande significato dello sforzo della signora Fornero è che la legge ha smantellato la vacca più sacra del lavoro in Italia, l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori”. 
Direi un grande risultato per i parlamentari ormai alla canna del gas, di destra, di sinistra e di centro, che hanno votato a favore di questa porcheria immane a scatola chiusa. 

Ps: accortisi della ennesima terribile gaffe, i suoi collaboratori al Ministero (che fanno davvero una vita d'inferno per inseguire tutte le scemenze pronunciate in giro dalla signora) hanno impapocchiato una precisazione all'ANSA, sostenendo che il ministro-madonnina non ha mai messo in discussione il diritto al lavoro sancito dalla nostra Costituzione, ma il diritto al posto di lavoro. Secondo lei è evidentemente una gentila concessione del padronato o del signorotto medievale, le uniche culture alle quali fa riferimento. 

lunedì 25 giugno 2012

Il caso Aldrovandi e i poliziotti su Facebook: "una bestia in divisa resta una bestia"

Qualche giorno fa la Cassazione ha confermato in via definitiva la condanna dei quattro poliziotti che massacrarono di botte il povero Federico Aldrovandi a tre anni e mezzo per omicidio. Si tratta di Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri che il 25 settembre 2005 si accanirono contro un ragazzo di 18 anni che stava rincasando a piedi dopo una serata in discoteca con gli amici. I loro avvocati, fra cui il legale di Silvio Berlusconi, Niccolò Ghedini, hanno tentato disperatamente di far passare la vittima per un pazzo drogato, in ogni grado di giudizio. 
Ora questi quattro campioni della Polizia italiana non si faranno neanche un giorno dentro, perché grazie alla legge sull'indulto, varata nel luglio del 2006 dal governo Prodi, gli sono stati abbonati tre anni. Siccome la legge non prevedeva l'indulto per le pene accessorie, come l'interdizione dai pubblici uffici, la domanda sorge spontanea: ma questi quattro macellai saranno stati espulsi dalle forze di pubblica sicurezza? O stiamo ancora pagandogli uno stipendio?
Non è dato saperlo. Intanto però alcuni di loro, non contenti di essersi salvati dalle sbarre, passano il tempo su Facebook, iscritti a un gruppo delirante che inneggia alle Forze Armate, a insultare la memoria del ragazzo e la coraggiosa madre che li ha trascinati davanti a un tribunale. Al gruppo, intitolato "Prima difesa due" (come un brutto sequel con Chuck Norris) sono iscritti molti simpatici ometti in divisa, qualche pensionato che ha esagerato col bianchetto, pure un generale dei carabinieri in congedo a cui manca evidentemente qualche rotella e umanità varia, convinta che i nostri marò in India siano stati "rapiti" dal governo locale e che gli agenti che finiscono sotto processo siano vittime del solito complotto comunista.
"Una bestia in divisa resta una bestia".

martedì 19 giugno 2012

A 40 anni dal Watergate, in Italia non si sarebbe dimesso nessuno

Sono passati 40 anni dal 17 giugno del 1972, quando quattro ladruncoli furono pizzicati all'interno di una sede del Partito Democratico di Washington mentre cercavano di mettere delle cimici nei telefoni. Fu l'inizio del più famoso scandalo politico della storia americana, che culminò due anni dopo con le dimissioni del presidente Richard Nixon. I due giornalisti che si occuparono del caso, Bob Woodward e Carl Bernstein, fecero un lavoro incredibile e giustamente ottennero fama e rispetto (e addirittura furono celebrati in un film nel quale vennero interpretati niente popò di meno che da Robert Redford e Dustin Hoffman). L'indagine fu il paradigma del giornalismo investigativo e del potere di controllo della stampa nei confronti della politica.
Ma... fosse accaduto in Italia?
Pensate un po' a quello che si legge in questi giorni (in prima pagina sul Fatto e molto nascosto sugli altri giornali, pure Repubblica che la storia l'ha tirata fuori per prima, ma si sa... il Quirinale non si tocca), con un vecchio arnese della Prima Repubblica che telefona al consigliere del Capo dello Stato per lamentarsi del fatto che la magistratura indaga su di lui e sulle trattative fra Stato e mafia di vent'anni fa (quelle che portarono alle stragi e alla sospetto rimozione del regime carcerario del 41-bis per i boss di Cosa Nostra). 
“Il presidente ha preso a cuore la questione”, diceva il braccio destro di Giorgio Napolitano, Loris D’Ambrosio, a Nicola Mancino, ex notabile democristiano, ex ministro degli Interni, ex presidente del Senato votato dall'Ulivo, che ha lasciato la politica dopo 30 anni solo in cambio di una poltrona al Consiglio Superiore della Magistratura.  
L'unico che si indigna sembra essere il solito Antonio Di Pietro, gli altri proprio non se ne interessano, anzi, il Pd se la prende con  il leader dell'Italia dei Valori accusandolo di essere un irresponsabile. A Woodward e Bernstein bastò dimostrare che lo staff del presidente era al corrente della "infrazione" al Watergate per ottenere la testa dell'uomo più potente del mondo.
Qui da noi, che cosa serve per far dimettere qualcuno?

lunedì 18 giugno 2012

La Repubblica delle (poche) idee e dei soliti manganelli

Siccome da quelle parti sono permalosi anzi che no, premetto subito che non ho niente contro Repubblica, che considero ancora il miglior quotidiano in circolazione (anche se più per demeriti degli altri). Ma 'sta roba della settimana in piazza a Bologna se la potevano pure risparmiare. Da mesi suona il tam-tam della discesa in campo di una sedicente lista civica che farebbe capo al giornale e al suo fondatore Eugenio Scalfari, un uomo che al giornalismo ha datto sicuramente tanto, ma che dal punto di vista politico ha sempre sposato cause random, facendo un tifo disperato ora per questo ora per quello (e portando pure un po' sfiga).
Avendo letto molti resconti della kermesse bolognese, io davvero non ho capito 'ste idee dove stanno, quali sono, chi le porta avanti, fra una lezione sui Pink Floyd e un concerto del bollitissimo Francesco De Gregori (quando si dice strizzare l'occhio ai giovani). 
Ci stava il solito scrittore che dopo aver pubblicato sei anni fa (!) un libro per Mondadori vive di rendita recitando la solita parte, il giornalista che vive il suo soggiorno dorato a Parigi, la collega che ha fatto la presidente della Rai grazie al centrodestra e che ora hanno messo a dirigere la futura edizione italiana di Huffington Post (quando gli americani si accorgeranno del bluff scapperanno a gambe levate), tutti uniti nel dibattito sul nulla eterno. Poi c'erano il direttore (inchiodato alla stessa poltrona da 16 anni, nonostante le vendite siano in netto calo da un bel po', quando si dice il ricambio generazionale) e il grande vecchio fondatore, ormai quasi novantenne, che ha pure salutato la folla col pugno chiuso, lui che - signora mia - l'esponente più di sinistra che ha sostenuto in passato è stato Ciriaco De Mita, entrambi persi nello sbrodolarsi addosso sperticate lodi per il loro lavoro.
Proposte? Idee? Nessuna, tranne il sottinteso leit-motiv: bisogna sostenere il governo di Mario Monti il bocconiano, punto e basta. E infatti il grigio presidente del Consiglio non è mancato all'appello. E' andato anche lui a Bologna per dire che grazie a lui "l'Italia ce la farà da sola".
Tutt'intorno la polizia aveva blindato la città. Soliti manganelli, solite zone rosse, solito schifo. Se queste sono le idee...

martedì 12 giugno 2012

I "mostri" del Pd: Beppe Fioroni, lo scout omofobo che vuole scendere in campo

Fra i personaggi che rappresentano meglio di tutti la zavorra che impedirà sempre al Partito Democratico di essere una formazione di sinistra c'è il mitico Beppe Fioroni, ex segretario della Dc di Viterbo, ex dimenticabile Ministro della Pubblica Istruzione nell'ultimo governo Prodi, quando l'unica sua preoccupazione fu quella di opporsi a una sentenza del Tar che aveva bocciato l'idea che partecipare all'ora di religione potesse fare punteggio nella valutazione scolastica. Una battaglia vinta al Consiglio di Stato, una porcheria senza precedenti.
Nel suo curriculum figura una laurea in medicina (naturalmente presso l'Università Cattolica) e un certo attivismo all'interno degli scouti cattolici dell'Agesci, la stessa congrega della quale si fregiava di far parte l'amico Luigi Lusi, l'ex tesoriere della Margherita che si è intascato i soldi e per il quale oggi la Giunta per le autorizzazioni del Senato ha detto sì all'arresto.
Omofobo come tutti i cattolici oltranzisti, è sceso in campo minacciando il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, di candidarsi alle primarie se il partito non ritirerà la proposta di riconoscere le unioni civili, anche fra persone dello stesso sesso. Il motivo? La solita idiozia gesuitica: "Le persone che incontro non mi chiedono di coppie gay e di testamento biologico... Vogliono sapere di fisco e di esodati, di occupazione e di misure per la crescita", ha detto l'esploratore (che a giudicare dal fisico alle gite dell'Agesci si mangiava tutte le merendine), come se una cosa escludesse l'altra.
Ecco, facciamolo scendere in campo e vediamo chi lo vota, visto che finora si è fatto tre legislature grazie alle segreterie dei partiti che lo hanno messo in lista. E qualcuno gli ricordi che la posizione di Bersani è quella dei conservatori americani, che si oppongono ai matrimoni gay che vorrebbe Obama dichiarandosi però favorevoli alle unioni civili e perfino alle adozioni per le coppie omosessuali. I cattolici italiani, sempre uno sguardo al medioevo, ci mettessero il loro untuoso faccione invece di nascondersi dietro al voto della sinistra.

lunedì 11 giugno 2012

"Panem et circenses", Napolitano cerca di rifarsi un'immagine con la Nazionale

Travolto dall'ondata di malcontento in un paese ormai alla canna del gas, dopo aver messo in piedi il governo dei peggiori tecnici della storia, il presidente Giorgio Napolitano, che ormai becca fischi a destra e a manca come il Berlusconi dei tempi peggiori (e come il suo amico Craxi davanti all'hotel Raphael), ha cercato gloria altrove. 
Ricordandosi probabilmente di quando sei anni fa si ritrovò appena eletto (diciamo nominato dai partiti) a festeggiare la vittoria degli azzurri al Mondiale in Germania, insieme alla indimenticabile ballerina del Billionaire e ministro per le politiche giovanili e le attività sportive, Giovanna Melandri (che negli spogliatoi fu accolta dal celeberrimo coro: "Faccela vedè, faccela toccà"), il capo dello Stato deve aver pensato che gli Europei fossero una nuova occasione per distogliere l'attenzione dalla catastrofe nella quale ci stiamo lentamente cacciando. 
E così, in compagnia della moglie, si è presentato a Danzica per assistere al debutto dell'Italia con la Spagna, costringendo l'intera stampa italiana a una serie di marchette epocali. I cronisti sbrodolavano parole di giubilo per la vicinanza dell'ex stalinista (ora pentito) alla Nazionale dei miliardari travolti dagli scandali e oggi i giornali sono pieni di articolesse che ci raccontano di come Napolitano sia sceso negli spogliatoi per congratularsi con gli azzurri e abbracciare Buffon (che, lo dico da juventino, andrebbe preso a calci nel culo per quello che ha detto e si è scoperto su di lui negli ultimi giorni e che ieri ha giocato una partita assolutamente normale, con una buona parata e un paio di uscite da pollo, una delle quali ci è costata il gol). 
La commediola allestita per l'occasione, non ci crederete, secondo il nostro illustre primo cittadino aveva anche una valenza sociale. "La crisi economica e finanziaria è una cosa, e il calcio è un'altra: ma vincere incoraggia i Paesi nei momenti di difficoltà", ha detto il nostro grande pensatore, l'illuminato della politica, l'uomo a cui dobbiamo le leggi ad personam per Berlusconi (qualcuna per fortuna bloccata dalla Corte Costituzionale), il rinvio del voto di fiducia contro il re del bunga-bunga quando uscirono i finiani, che ha consentito al Caimano la compravendita dei deputati per tirare avanti un altro tragico anno, l'imposizione del governo dei tecnici, che stanno facendo danni su danni e sono capaci solo di parlare a vanvera e, dulcis in fundo, le ultime nomine al confine fra la vergogna e il ridicolo, avvenute alla Rai, all'Agcom e all'authority per la privacy. 
Un quotidiano sportivo ha titolato oggi un editoriale "Sogniamo con il Presidente". Più che altro affondiamo, mentre il Presidente va allo stadio a divertirsi. Quanto ci è costata la gita? Si ripeterà anche per le prossime partite dell'Italia? 
Speriamo almeno che non porti sfiga.

martedì 5 giugno 2012

Pd e governo Monti, l'abbraccio mortale

 
Basterebbe l'ultima trovata del ministro della Giustizia, Paola Severino, che ha lanciato la davvero poco brillante idea di utilizzare i detenuti "non pericolosi" per la ricostruzione delle zone terremotate in Emilia, a far capire a chiunque che questo governo non è in grado di fare un tubo, a parte la gestione ragionieristica della contabilità (e se le ideone sono queste, è anche meglio così). Ma basta che qualcuno del Pd, come Stefano Fassina, dica due o tre cose piuttosto ragionevoli, tipo anticipiamo le elezioni a ottobre che con questi non si va da nessuna parte, che subito il resto del partito insorge: l'appoggio a Monti è incondizionato fino al 2013, come un dogma, una parola d'ordine, un totem.
La domanda sorge spontanea: ma l'attuale vertice del Partito vuole governare il paese o preferisce fare da stampella a questi tecnici dalla gaffe facile e dalle esternazioni risibili, in attesa che la destra si ricompatti e li batta di nuovo?
Misteri.